UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI AVELLINO Il Magistrato di sorveglianza letta l'istanza con cui la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Torre Annunziata ha trasmesso, ex art. 660 comma 2 codice di procedura penale, a questo Magistrato gli atti per la conversione della pena pecuniaria di € 150,00 di multa inflitta Palo Maurizio, nato a Salerno 7 settembre 1951, con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata sezione distaccata di Castellammare di Stabia del 22 giugno 2010; Osservato che in allegato all'istanza vi sono soltanto il titolo esecutivo - ovvero la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 22 giugno 2010 - ed un prospetto del contribuente per partita, dal quale risulta iscritta nell'anno 2011 una partita di credito nei confronti del condannato - debitore Palo Maurizio, ma non risulta effettuata alcuna procedura esecutiva nei confronti di quest'ultimo, al quale la cartella di pagamento risulta notificata in data 26 gennaio 2013 ma condizioni di «irreperibilita' relativa»; Considerato che in base al nuovo testo dell'art. 238-bis comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, il mancato esperimento di attivita' esecutiva da parte dell'agente di riscossione e' oggi presupposto sufficiente, a norma del citato articolo, affinche' il pubblico ministero investa il Magistrato di sorveglianza competente alla conversione ex art. 660 codice di procedura penale, e che soltanto quando il Magistrato di sorveglianza accerta la solvibilita' del debitore, l'agente di riscossione riavvia le attivita' di competenza sullo stesso articolo di ruolo; tanto premesso, osserva. L'art. 238-bis citato, come introdotto dalla legge di bilancio per il 2018 ovvero legge n. 205/2017, che lo ha inserito nel corpo del testo unico sulle spese di giustizia decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, con il dichiarato scopo di creare una norma di raccordo tra la disciplina della riscossione a mezzo ruolo e la disciplina delle pene pecuniarie idonea a consentire una tempestiva attivazione del procedimento di conversione delle pene pecuniarie, detta una puntuale disciplina, con la relativa scansione delle fasi, volta alla «Attivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate», prevedendo al comma 2 che «l'ufficio investe il pubblico ministero perche' attivi la conversione presso il Magistrato di sorveglianza competente, entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione da parte dell'agente della riscossione, relativa all'infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni» e, al comma successivo, che «ai medesimi fini di cui al comma 2, l'ufficio investe, altresi', il pubblico ministero se, decorsi ventiquattro mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell'agente della riscossione ed in mancanza della comunicazione di cui al comma 2, non risulti esperita alcuna attivita' esecutiva ovvero se gli esiti di quella esperita siano indicativi dell'impossibilita' di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa». Va premesso che l'istituto della conversione della pena pecuniaria e' stato spesso sottoposto al vaglio della Corte costituzionale, in esso concentrandosi il difficile equilibrio tra le esigenze di effettivita' della pena da una parte, e di rispetto del principio di uguaglianza dall'altro, stante il carattere maggiormente afflittivo della pena succedanea, e lo sforzo della Corte nelle diverse pronunce succedutesi negli anni e' stato costantemente volto alla ricerca di' un punto di congiunzione tra le due contrapposte istanze. Del resto, la stessa conversione delle pene pecuniarie non pagate in liberta' controllata, e' stata introdotta dalla legge n. 689 del 1981 proprio al fine di eliminare la lacuna venutasi a creare nel sistema esecutivo a seguito della sentenza 21 novembre 1979 n. 131 con cui la Corte ebbe a dichiarare l'incostituzionalita' del vecchio art. 136 codice penale, statuente la conversione della multa e dell'ammenda non pagate per insolvibilita' del condannato nelle corrispondenti pene detentive, per la condizione di disuguaglianza che si veniva a creare tra soggetti condannati per i medesimi reati sulla base delle differenti condizioni economiche. Significativa in tal senso e' stata l'introduzione, con la nuova disciplina, della facolta' offerta al condannato di eseguire il lavoro sostitutivo in luogo della sottoposizione alla liberta' controllata. Vanno poi sinteticamente ricordate le sentenze della Corte 12-23 dicembre 1994 n. 53, e la 9-12 gennaio 2012 n. 1, che ebbero a dichiarare l'illegittimita' dell'art. 102 terzo comma della legge n. 689/1981 in relazione al tasso di ragguaglio tra pena pecuniaria (da convertire in caso di insolvenza) e liberta' controllata (originata dalla conversione) che il legislatore aveva dimenticato di adeguare, rompendo la simmetria che la Corte aveva ritenuto doverosa; la sentenza 14-21 giugno 1996 n. 206, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 102, secondo comma, della legge n. 689/1981 nella parte in cui non consentiva che il lavoro sostitutivo potesse essere concesso, su richiesta del condannato, anche nel caso in cui la pena pecuniaria da convertire fosse superiore ad un milione; infine, la sentenza 18 giugno 2003 n. 212, che dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 299 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, che abrogava l'art. 660 codice di procedura penale, ha consentito a quest'ultima norma di rivivere proprio per effetto della eliminazione della norma abrogante. Dall'esame di questa breve panoramica risulta evidente lo sforzo della Corte di salvare l'istituto della conversione dalla scure dell'incostituzionalita', soprattutto in considerazione del fatto che nella maggior parte dei casi le pene pecuniarie restano non pagate, con il conseguente rischio di vanificazione della loro funzione preventiva e rieducativa. La nuova norma di' cui all'art. 238-bis, del resto, nasce proprio al fine di garantire una piu' veloce attivazione della procedura di conversione delle pene pecuniarie non pagate che giacevano da anni ormai in una fase di stallo; tuttavia, proprio il sistema creato dalla norma per dare nuovo impulso al settore delle pene pecuniarie e a garantirne l'effettivita', suscita in chi scrive non poche perplessita'. In particolare, suscita perplessita' l'inciso «ai medesimi fini» con cui esordisce il comma 3; atteso che oggi, proprio grazie a quell'inciso, il mancato esperimento di attivita' esecutiva da parte dell'agente di riscossione diviene un presupposto sufficiente affinche' il pubblico ministero investa il Magistrato di sorveglianza competente alla conversione delle pene pecuniarie non pagate in liberta' controllata. Orbene, ritiene questo giudice di dover sollevare, d'ufficio, a norma dell'art. 23 terzo comma della legge n. 87/1953, il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 238-bis comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, nella parte in cui, ai fini della c.d. «investitura», ovvero della trasmissione degli atti dall'ufficio giudiziario incaricato della riscossione al pubblico ministero a sua volta incaricato, a seguito di controllo formale, di trasmettere gli atti al Magistrato di sorveglianza competente per la conversione, parifica, attraverso la richiamata espressione «ai medesimi fini», all'ipotesi della comunicazione degli esiti negativi dell'esperimento infruttuoso del primo pignoramento su tutti i beni, l'ipotesi del semplice decorso del termine di due anni nel caso in cui non risulti esperita alcuna attivita' esecutiva, ritenendo tale equiparazione in contrasto e violazione degli articoli 3, 24, comma 2 e 27, comma 3 della Costituzione; questione che ritiene rilevante ai fini del giudizio, atteso che dalla soluzione della stessa dipende la stessa possibilita' di procedere o meno alla conversione della pena pecuniaria; e non manifestamente infondata in relazione agli articoli 3, 24 comma 2 e 27 comma 3 della Costituzione, per i motivi che appresso si diranno. Per chiarire meglio il punto nodale della questione, vanno preliminarmente sintetizzati i passaggi previsti per l'esazione delle pene pecuniarie. Entro un mese dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, la cancelleria del giudice dell'esecuzione (campione penale) deve notificare al condannato l'invito al pagamento, che contiene l'intimazione a pagare entro il termine di trenta giorni e a depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall'avvenuto pagamento. Se il condannato non paga entro il termine previsto, la cancelleria iscrive a ruolo la somma dovuta dal condannato provvedendo contestualmente alla consegna della relativa pratica all'agente della riscossione, che a sua volta deve notificare la cartella di pagamento al debitore, contenente l'intimazione al pagamento entro un termine, scaduto il quale l'agente della riscossione puo' procedere alla riscossione coattiva mediante esecuzione forzata da parte degli ufficiali esattoriali, se anche tale procedura esecutiva ha esito negativo, il campione penale entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione da parte dell'agente della riscossione, relativa all'infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni, deve dare impulso alla successiva fase della procedura di conversione della pena pecuniaria in liberta' controllata trasmettendo gli atti al pubblico ministero, che a sua volta investe il Magistrato di sorveglianza competente per la conversione. Oggi, in virtu' del comma 3 dell'art. 238-bis, l'ufficio investe il pubblico ministero anche nell'ipotesi in cui siano «decorsi 24 mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell'agente della riscossione e in mancanza della comunicazione di cui al comma 2»; il che vuol dire, in termini pratici, anche nel caso di totale inerzia da parte dell'agente della riscossione per 24 mesi. E a complicare le cose, deve aggiungersi che si considera notificata al debitore la cartella di pagamento anche in caso di irreperibilita' assoluta (caso in cui non vi e' alcun luogo conosciuto, ovvero abitazione, ufficio o azienda del contribuente nell'ambito di quel comune in base all'ordinaria attivita' che deve essere svolta dal messo notificatore, ed in tal caso, in base all'art. 60 comma 1 lettera e) del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, la notifica si realizza ai sensi dell'art. 143 codice di procedura civile con avviso di deposito in busta chiusa e sigillata che si affigge nell'albo del comune e la notificazione si ha per eseguita nel ventesimo giorno successivo a quello di affissione), e di irreperibilita' relativa (quando sono conosciuti la residenza e l'indirizzo del destinatario, ma non si e' potuto eseguire la consegna perche' questi, o altro possibile consegnatario, non e' stato rinvenuto in detto indirizzo, da dove tuttavia non risulta trasferito; rispetto all'irreperibilita' assoluta, il nuovo luogo di domicilio e' conoscibile in base all'ordinaria attivita' che il messo notificatore deve effettuare; in tal caso lo stesso dovra' procedere sempre ai sensi dell'art. 140 codice di procedura civile, ma aggiungendo all'avviso di deposito nella casa comunale anche l'affissione dell'avviso alla porta del destinatario, e l'invio della raccomandata con avviso di ricevimento). Cosi' sinteticamente ricostruita l'intera disciplina, si osserva che le ipotesi di irreperibilita' assoluta sono anche piu' frequenti della irreperibilita' relativa che si verifica per temporanea assenza dovuta ai piu' svariati motivi, e che nei casi di irreperibilita' assoluta la notificazione dell'atto ai sensi dell'art. 143 codice di procedura civile da' luogo ad una conoscenza meramente virtuale dell'atto notificando. Anche in questi casi, oggi, in virtu' dell'art. 238-bis comma 3, il pubblico ministero investe il Magistrato di sorveglianza dando cosi' avvio al procedimento di conversione trasmettendo solamente il titolo esecutivo, e l'attestazione di notifica in condizioni di irreperibilita', o addirittura peggio ancora, non trasmettendo alcun atto. A completamento del quadro, deve infine aggiungersi che il procedimento di conversione a cura del competente Magistrato di sorveglianza non si svolge con udienza, bensi' con procedura de plano ai sensi dell'art. 678, comma 3-bis codice di procedura penale Il contraddittorio resta pertanto del tutto eventuale e postumo solo a seguito di opposizione, in quanto e' solo in quest'ultimo caso che ha luogo un'udienza. Ed invero, l'art. 678 comma 1-bis codice di procedura penale rinvia al 667 comma 4 codice di procedura penale, che prevede appunto un provvedimento adottato senza formalita' e poi comunicato al pubblico ministero ed all'interessato, i quali poi possono proporre opposizione dinanzi allo stesso giudice instaurando il contraddittorio ex art. 666 codice di procedura penale. Infine, a coronamento del discorso, si osserva che gli accertamenti sulla solvibilita' disposti dal Magistrato di sorveglianza nell'ambito della procedura di conversione non sempre riescono ad essere esaustivi, e sovente sono condizionati dal ridotto margine di tempo che residua in conseguenza del fatto che molte richieste di conversione pervengono al magistrato in prossimita' del termine di prescrizione della pena pecuniaria (peraltro, si osserva che secondo il piu' recente orientamento della Suprema corte, la notifica della cartella di pagamento non sospende la prescrizione della pena pecuniaria: Cassazione 3 Sez. Pen. Sentenza 6 aprile 2017 n. 17228). Orbene, ritiene questo giudice che l'art. 238-bis, comma 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 possa porsi in contrasto con gli art. 3 e 24 comma 2 della Costituzione, poiche' parificando il mero decorso di 24 mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell'agente addetto alla riscossione all'esperimento infruttuoso della procedura esecutiva, determina l'instaurazione automatica della procedura di conversione anche nei confronti di condannati potenzialmente solvibili ma di cui non sono noti i luoghi di residenza o domicilio, che restano ignari della emissione della cartella di pagamento, e che si vedono pertanto sottoposti al rischio di passare da una limitazione dalla sfera patrimoniale a quella della liberta' personale per un fatto non a loro riconducibile, ma all'inerzia dell'agente della riscossione. In tal caso, la violazione del principio di uguaglianza nasce proprio dalla trattazione in modo uguale di situazioni in realta' molto differenti, dal momento che si genera automaticamente e senza distinzione l'attivazione della procedura di conversione tanto nei confronti di soggetti che, grazie all'avvio della procedura di esecuzione forzata nei loro confronti, sono stati coinvolti in questa prima fase, che di soggetti spesso del tutto ignari della emissione della cartella esattoriale nei loro confronti, e dunque, sostanzialmente privati della possibilita' di difendersi e di opporre una eventuale solvibilita', eliminando cosi' a monte la possibilita' di instaurare un contraddittorio endoprocedimentale col condannato al fine di verificare se lo stesso sia solvibile o insolvibile, e cio' appare una violazione a prescindere dal controllo e dalla valutazione finale di insolvibilita' demandata al Magistrato di sorveglianza (che peraltro, in caso di irreperibilita' del condannato, essendo in questo caso impossibile accertare l'effettiva insolvibilita' del medesimo, dovrebbe arrestare la procedura e restituire gli atti al pubblico ministero, che a propria volta, dovrebbe restituirli alla cancelleria del giudice dell'esecuzione per il periodico rinnovo delle ricerche del soggetto, fino, sostanzialmente, al maturarsi della prescrizione della pena; pertanto, in caso di instaurazione automatica della procedura di conversione nei confronti del soggetto irreperibile, la restituzione degli atti al pubblico ministero, persistendo l'irreperibilita', verra' ad essere posticipata inutilmente di 24 mesi). La violazione del diritto di difesa, garantito nel nostro ordinamento in ogni stato e grado del procedimento, appare palese nel momento in cui si da' avvio ad un procedimento sfavorevole per il condannato, in quanto tendente all'adozione di un provvedimento limitativo della sua liberta' personale piuttosto che della sfera patrimoniale, senza che lo stesso abbia in qualche modo avuto, in primis, la possibilita' di averne notizia e, in secondo luogo, la possibilita' di esporre le proprie ragioni. Violazione che appare maggiormente evidente se si tiene conto che oramai anche in quei settori che meno incidono sulla sfera personale dell'individuo, ci si sta orientando verso l'adozione di strumenti idonei a coinvolgere l'interessato sin dalle prime fasi del procedimento. Il riferimento e' alla prassi amministrativa che si sta facendo strada in tema di accertamento tributario. In una circolare del 2016, infatti, l'Agenzia delle entrate pone in evidenza quanto il contraddittorio endoprocedimentale o preventivo renda la pretesa tributaria piu' credibile e sostenibile e, soprattutto, come il contraddittorio instaurato a monte della procedura, scongiuri l'effettuazione di recuperi non adeguatamente supportati e motivati perche' non preceduti da un effettivo confronto. Lo stesso e' stato sostenuto anche in una circolare della Guardia di finanza (circ. n. 1/2018), in cui si legge che il contraddittorio costituisce un mezzo di tutela delle ragioni del contribuente espressione del giusto procedimento. Pertanto, se si ritiene piu' in linea con i precetti costituzionali la possibilita' che il contribuente prima di ricevere l'atto di accertamento sia avvisato e sentito, lo stesso ragionamento dovrebbe presiedere al procedimento di conversione della pena pecuniaria, atteso che, in questo caso, l'istaurazione del procedimento ha ripercussione su un bene, la liberta' personale, meritevole di una piu' ampia tutela rispetto alle ipotesi in cui il procedimento e' diretto ad intaccare il bene patrimonio. Al fine di marcare ulteriormente la rilevanza del diritto di difesa, un utile spunto puo' trarsi anche dai piu' recenti arresti della Corte di giustizia, ed in particolare, la sentenza Kamino (sentenza 3 luglio 2014, C-129/13, Kamino, e C-130/13, Datema), nella quale la Corte, ricorrendo ad una giurisprudenza ben consolidata sul tema, ricorda l'obiettivo che si persegue con il diritto di difesa: «la regola secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva dev'essere messo in condizione di far valere le proprie condizioni prima che la stessa sia adottata ha lo scopo di mettere l'autorita' competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso». Si legge, ancora, che «il diritto di essere sentiti garantisce a chiunque la possibilita' di manifestare, utilmente ed efficacemente, il suo punto di vista durante il procedimento amministrativo e prima dell'adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi». La Corte di Giustizia ha, dunque, sottolineato la centralita' del diritto al contraddittorio, espressamente contemplato nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea agli articoli 47 e 48, laddove si sancisce il rispetto dei diritti di difesa e il diritto ad un equo processo, ma anche all'art. 41, rubricato «diritto ad una buona amministrazione»; il comma secondo di quest'ultima norma prevede che il diritto ad una buona amministrazione comprende il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio. Dunque, la possibilita', o meglio, il diritto dell'interessato ad essere ascoltato e' garantito non solo dalla nostra Costituzione ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ed in entrambe le Carte e' evidente la necessita' di garantire, in ogni stato e grado del procedimento, la possibilita' di esercitare tale diritto, soprattutto nella misura in cui, come nel nostro caso, l'instaurazione, da parte dell'Autorita' giudiziaria, di un procedimento potrebbe avere notevoli ripercussioni sulla liberta' del destinatario del provvedimento finale. Quindi, non solo nella fase finale, ma anche e soprattutto, nelle fasi in cui la decisione deve ancora formarsi e' necessario coinvolgere il destinatario, di modo che a tale decisione si possa giungere col contributo di tutti gli elementi utili e nel massimo rispetto delle garanzie costituzionali. Va poi considerato che il termine di due anni rappresenta un lasso di tempo notevole entro il quale la solvibilita' del condannato puo' subire anche notevoli variazioni, per cui il rinvio dell'accertamento del presupposto dopo tale lasso di tempo rappresenta gia' di per se' un pregiudizio per il medesimo, che viene ad essere sostanzialmente privato della possibilita' di risolvere il suo debito con la giustizia entro un tempo piu' circoscritto e ragionevole. Ritiene inoltre la scrivente che la norma in esame potrebbe porsi in contrasto con l'art. 27, comma 3 Costituzione, laddove prevede che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Dalla lettura della circolare ministeriale del 4 agosto 2017, della nota integrativa del 16 gennaio 2018 e dell'ultima circolare sul terna del 31 maggio 2018 emerge, infatti, che la ragione per cui e' stato introdotto nel testo unico delle spese di giustizia l'art. 238-bis attiene all'esigenza di individuare una norma di raccordo tra la disciplina della riscossione a mezzo ruolo e la disciplina delle pena pecuniaria, idonea a consentire una tempestiva attivazione del procedimento di conversione delle pene pecuniarie e al fine di evitare l'estinzione della stessa. Ne discende che la ragione unica dell'introduzione della disposizione di cui si solleva la legittimita' costituzionale dev'essere individuata nella necessita' di salvaguardare il principio di effettivita' della pena; principio, anch'esso basilare al fine di ingenerare nei consociati quell'orientamento culturale che sta alla base della minaccia di una pena, ma che non puo' costituire la ratio unica di un provvedimento maggiormente pregiudizievole per il reo e a discapito di quanto il giudice della cognizione abbia ritenuto piu' proporzionato al caso di specie. In altri termini, questo magistrato ritiene che il perseguimento del principio dell'effettivita' della pena non puo' porsi in contrasto col principio ultimo, costituzionalmente garantito, della rieducazione del condannato, il quale viene palesernente disatteso nella misura in cui, per garantire l'effettivita' della pena, non si prevede un'apposita procedura maggiormente conforme a perseguire il fine dell'art. 27, comma 3 Costituzione, prevedendo a chiare lettere che l'inerzia per 24 mesi dell'agente della riscossione costituisce il presupposto affinche' l'Ufficio giudiziario investa il pubblico ministero per l'attivazione della procedura di conversione presso il Magistrato di sorveglianza competente. La violazione del principio rieducativo della pena, dunque, si configura laddove, al fine di evitare l'estinzione della pena pecuniaria, si legittima l'instaurazione di una procedura pregiudizievole per il reo che potrebbe sfociare nell'adozione di un provvedimento avente ad oggetto una pena non proporzionata alla gravita' del reato e inidonea a far si' che il reo impari a vivere nel rispetto delle regole di civilta'.